Cosa succede quando ci raccontiamo?


La nostra vita è come una pagina bianca che con le nostre vicende si tinge di un inchiostro indelebile, spesso denso e scuro di dolori, altre volte invece inizia con i sapori della tragedia per poi risolversi in una storia tinta dai colori accesi e allegri di una vita felice.

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Quante volte abbiamo ascoltato racconti legati alla vita di amici e parenti, quante volte noi stessi sentiamo il desiderio di raccontarci e descrivere situazioni, appuntamenti, pianti, momenti inattesi ed emozioni forti ai nostri cari.

Vi siete mai chiesti cosa accade quando vi raccontate?
Cosa succede alla vostra memoria, al vostro pensiero, alla vostra opinione di voi, alla vostra salute?
Pennebaker (1984) fu uno dei primi studiosi a mettere in piedi un esperimento che tentasse di dare qualche risposta a queste domande, divise i ragazzi che volontariamente si erano offerti di partecipare al suo studio in tre gruppi: uno avrebbe descritto la stanza in cui si trovava, l’altro avrebbe raccontato i fatti relativi a un trauma e il terzo avrebbe dovuto descrivere i fatti uniti alle emozioni vissute durante il momento traumatico. I ragazzi avrebbero dovuto scrivere seguendo le consegne 15 minuti di getto per tre giorni consecutivi.

I risultati furono sorprendenti: le persone che avevano descritto i fatti uniti ai loro pensieri ed emozioni riportavano un brusco calo delle visite mediche e un miglioramento sensibile dell’umore e del loro atteggiamento.

Qualche anno più tardi (Pennebaker, Kiecolt-Glaser, & Glaser, 1988) questo miglioramento fisico fu indagato a livello empirico e fu rilevato che racconarci produce:

-un aumento del numero di cellule T-helper, linfociti prodotti dal timo;

-produzione di anticorpi per il virus di Epistein-Barr, virus della famiglia degli herpesvirus responsabile della mononucleosi infettiva nonchè di alcuni tipi di tumore e linfomi;

-produzione di anticorpi che rispondono al vaccino anti Epatite B.

Gli effetti positivi del processo di apertura che si producono attraverso il racconto autobiografico si possono intuire anche da altre riflessioni, infatti:

-l’inibizione implica un lavoro fisico provocato dallo sforzo impiegato per non pensare, non dire, non fare;

-l’inibizione comporta modificazioni a breve termine e influisce sulla salute a lungo termine, cambiamenti a breve termine possono essere aumento della sudorazione, aumento del battito con conseguente aumento delle probabilità di contrarre problemi fisici e psicologici stress correlati sul lungo termine;

-l’inibizione influisce sull’abilità di pensiero, impedendoci una maggiore comprensione e rielaborazione del fatto inconfessabile;

-il confronto diminuisce le conseguenze dell’inibizione causando una diminuzione dello stress e delle sue conseguenze;

-il confronto obbliga a riconsiderare gli eventi, aiutando le persone a comprenderli e assimilarli.

(Pennebaker, 1997, p.23-24).

Questi sono solo alcuni degli aspetti legati agli effetti prodotti dal racconto autobiografico, Elizabeth Loftus (1993), ci ricorda come il racconto possa modificare il contenuto stesso di un ricordo permettendoci di comprendere quanto questo processo sia significativo all’interno della costruzione del sè e del significato che attribuiamo ad eventi importanti e centrali delle nostre vite.

Gli esperimenti di James Pennebaker sono stati i primi relativi alla scrittura espressiva, metodo di scrittura autobiografica che certamente costituisce un ottimo strumento preventivo e terapeutico.

Chi di voi ha sempre tenuto un diario comprenderà quanto questo strumento possa essere in alcuni casi un rifugio e un momento di comprensione di noi stessi, dei nostri comportamenti e delle nostre relazioni.

Concludendo quindi, per scrivere bene le nostre pagine bianche, ogni tanto potremmo rileggere quelle passate, a volte, riscriverle e leggere anche quelle di chi insieme a noi ha ancora inchiostro da usare.

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